Finita l’ iniziale fase in discesa, dove si intravedeva un
accordo fra centrodestra e M5S - vincitori alle elezioni del 4 marzo - la
trattativa sui nomi dei Presidenti delle due camere è naufragata miseramente.
A dire il vero era abbastanza prevedibile, visto che
assegnare la Presidenza del Senato a Paolo Romani, condannato in via definitiva
per una questione relativa al telefono di servizio ceduto alla figlia, è per i
5 Stelle qualcosa di improponibile.
Diciamo che quasi tutti gli altri politici hanno “fatto il
callo” su reati bel più sgradevoli anzi - in Italia - avere una condanna
definitiva - su alcuni reati - può arricchire il “curriculum”.
Non conosco Paolo Romani, un politico di fedele osservanza
berlusconiana, non sono in molti ad avere l’autorevolezza per sedere sul più
alto scranno della Repubblica e per i 5 Stelle - fra questi pochi - non vi è
Romani.
I petastellati hanno posto il veto: “non voteremo mai un
condannato o chi è sottoposto a processo” ed è un principio che riduce
ulteriormente il ventaglio delle ipotesi.
E in effetti, non dico di stravolgere le italiche
consuetidini, non mi permetterei mai di rivoluzionare prassi consolidate, ma
probabilmente un condannato in via definitiva come presidente del Senato
potrebbe sfiorare anche la quasi inesistente sensibilità degli Italiani.
Fatto sta che Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia
Meloni si sono visti, la situazione in queste ore resta bloccata. I tre leader del
centrodestra confermano infatti la candidatura di Romani e il Movimento 5
stelle, nell’intento di “spaccare il fronte” - per bocca di Di Maio - ha
convocato un vertice fra leader di altro partiti (anche di sinistra) e per il
centrodestra ha chiesto la presenza di Salvini.
Di Maio ha individuato nel leghista il leader del
centrodestra, lasciando a casa Berlusconi.
Uno che - facile immaginare - non deve averla presa
benissimo.
Salvini probabilmente si presenterà all’incontro convocato da
Di Maio, ma non è nelle condizioni di “rompere” con l’ex Cavaliere: più che per
le minacciate ripercussioni, che Berlusconi paventa per i governi regionali
liguri e Lombardi sorretti da coalizioni di cdx, per Salvini è importante diventare (o restare?) leader di un 37%
e non solo di un partito.
L’impressione è che Salvini stia cuocendo nel pentolone di
Silvio, che da non candidabile per via della Severino,
da escluso alle riunioni e con i sondaggi danno in picchiata Forza Italia (dal 13% all’11%) continua ad
imporre il nome di Romani a tutto il cdx, col chiaro obiettivo di legittimare
la sua leadership, agli occhi del mondo politico.
Far capire agli addetti ai lavori che lui è ancora quello di sempre, come del resto il pantano italiano nel quale siamo precipitati.
Questi sì che sono statisti che hanno cominciato a lavorare
per il nostro benessere.
Andrea Maggio
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