Comprendo e apprezzo il valore educativo delle assemblee studentesche: sono momenti importanti di crescita civica, di confronto e di stimolo al pensiero critico.
Le assemblee studentesche dovrebbero essere momenti di crescita e confronto, occasioni per imparare a ragionare in modo critico sui grandi temi del nostro tempo.
Proprio per questo, è fondamentale che si svolgano nel pieno rispetto del pluralismo e della neutralità politica, come previsto dalla Costituzione (art. 97) e dalla normativa scolastica (D.Lgs. 297/1994, artt. 13–15).
Quando la scuola ospita un incontro su temi complessi e sensibili – come la situazione in Palestina – con un esponente politico chiaramente schierato, senza contraddittorio e senza voci alternative, il rischio di trasformare un’occasione educativa in un atto di propaganda è concreto.
L’assemblea prevista in alcune scuole sul tema “La situazione in Palestina”, con la presenza di un esponente politico dichiaratamente schierato, rappresenta a mio avviso un errore grave di metodo educativo.
Nulla da dire su Paolo Romano, che ho avuto modo di conoscere all'inizio della sua carriera (quando ancora volantinava alle sagre di paese e stazioni della metropolitana).
Un vero appassionato di politica, che rispetto per il percorso (segretario metropolitano dei giovani democratici) a cui auguro di proseguirlo al meglio.
Detto questo, su temi così controversi, la scuola non deve indirizzare, ma far comprendere le posizioni in campo.
Bisogna evitare sempre comizi, perchè se rivolti a minorenni "lavaggi di cervelli" scimmiottano vecchie usanze in tempi di fascismo.
Un istituto statale non può permettersi di essere luogo di una parte, di una fazione.
Non deve prestarsi a fare da megafono a posizioni faziose, di parte.
La Costituzione impone l’imparzialità delle istituzioni pubbliche e la normativa scolastica stabilisce che le assemblee non siano strumenti di proselitismo, ma occasioni di confronto libero e pluralista.
Trovo profondamente sbagliato che un tema tanto delicato venga proposto agli studenti senza un reale dibattito e con un relatore politico impegnato in prima persona in iniziative ideologiche come la cosiddetta “flottiglia”.
Questo non è educare: è indirizzare.
E, in un contesto scolastico, non dovrebbe accadere.
Purtroppo, le scuole italiane - troppo spesso -restano ostaggio di una certa cultura politica di sinistra, che attraverso una narrazione unilaterale tende a orientare la sensibilità dei giovani più che a formarne la capacità critica.
Ma la scuola non deve essere un luogo di adesione ideologica — dev’essere il luogo dove si impara a pensare, non dove si impara cosa pensare.
Educare significa insegnare a confrontarsi, non a schierarsi.
Solo dal confronto tra idee diverse nasce la comprensione profonda, il dubbio costruttivo, la libertà di farsi una propria opinione, il metodo migliore per crescere cittadini consapevoli, in grado di valutare più prospettive, non un’unica verità.
Occorre garantire spazi di confronto autentico, dove i ragazzi possano ascoltare più voci, porsi domande e formarsi un pensiero davvero libero.
E invito anche i genitori a parlarne con i propri figli: perché quando si trattano temi politici e geopolitici così complessi, la vera libertà nasce solo dal pensiero critico, non dal conformismo.
_AM_


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